L’anima del vecchio incasato

Ad un anno dall’apertura del museo a lui dedicato, ci piace ricordare l’artista grottammarese Giacomo Pomili detto Il Tarpato.

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Il vecchio incasato di Grottammare occhieggia dalla collina prospiciente la costa e si srotola fin lungo i bordi del fianco sud-orientale della falesia, dove le antiche vestigia della rocca medievale custodiscono ancora il ricordo dei pericoli dei tempi remoti, quando dal mare arrivava la vita, nelle reti traboccanti dei pescatori, ma arrivava anche la morte, annunciata dalle flotte nemiche lampeggianti all’orizzonte… Tutto, anche questo, costituisce una sorta di patrimonio “genetico”, anima o sostanza, dello spirito del luogo. Slancio vitale portato ai limiti dell’ esperienza panica, fusione di corrispondenze segrete in cui gli elementi primordiali – acqua, terra, aria – riecheggiano, si accavallano fino a tacere in un silenzio inspiegabile, eremitico, quasi ascetico.

Ancora oggi, epoca assai caotica, il visitatore del borgo antico di Grottammare può avvertire una sensazione indecifrabile, eco dello spirito del luogo, mentre percorre i vicoli e le viuzze, sostando nelle piazzette e negli slarghi, affacciandosi dalle logge del belvedere, punto privilegiato in cui terra, aria, acqua si uniscono con effetti di vigorosa suggestione.

Ed è a pochi passi dal luogo di questo connubio, proprio nelle sale espositive, di recente allestimento, del sovrastante Palazzo dell’Orologio, che il visitatore può continuare ad inseguire e a dar forma allo spirito del luogo, attraverso l’interpretazione personalissima e carica di umanità che ne ha creato un artista grottammarese di indiscusso fascino, ma del quale la critica si è ancora poco interessata: il pittore Giacomo Pomili, anzi, come egli amava firmare le sue opere, Il. Tarpato.

Il museo, a lui meritatamente dedicato e inaugurato nel maggio del 2013, ospita una piccola ma significativa selezione della sua produzione pittorica. Grazie alle opere qui esposte, è possibile andare alla scoperta delle sorgenti primigenie di un linguaggio artistico che non nasce dalla rielaborazione di dettami accademici (tra l’altro mai conosciuti e quindi mai programmaticamente frequentati dal nostro), ma dall’urgenza di comunicare con forme e colori, carichi di vibrazioni espressive, quanto un’indole schiva, spesso avvertita come graffiante e selvatica, non era in grado di pronunciare con morbide sonorità.

I pochi contributi della critica, recenti e meno recenti, hanno messo in luce la presenza nelle opere del Tarpato, di richiami ai grandi maestri delle avanguardie del Novecento, da Picasso a Chagall, oltre che la presenza di richiami all’Espressionismo e al Surrealismo, nelle declinazioni più primitiviste e visionarie. Ma forse questi sono richiami che rischiano di imprigionare e quindi far sfuggire il dramma della “scelta obbligata”, che l’artista ha contemporaneamente ricercato e subito, la scelta di un percorso eretico, senza frontiere e senza schieramenti, dove l’arte diventa testimonianza del mondo interiore dell’individuo, ma anche testimonianza dello spirito di una collettività intera, con la sua storia, le sue credenze, le sue fiabe, le sue superstizioni, i suoi umori, la sua cultura da difendere e preservare.

(Jenny)

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Le immagini sono tratte dall’opuscolo I Colori dell’anima, le opere del Tarpato a Grottammare. (foto di Dino Cappelletti, Bruno Spurio)

 

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